La nostra sede è da sempre presso la Casa del Popolo di Moiano; al primo piano la presidenza e la sala riunioni e al piano terra il Bar Pane & Rose ed il Salone delle Feste.
La Casa del Popolo di Moiano fu fondata nel 1913 a Moiano ove i socialisti dell’epoca, con una sottoscrizione, comperarono l’edificio sito nella piazzetta di Palazzolo da un emigrato e fecero un intervento di restauro nell’edificio. I muratori erano diretti da Alessandro Marchini padre di Alfio ed Alvaro Marchini a cui si deve l’idea originaria dell’acquisto concertato con Benito Sacco segretario della Sezione Socialista ed a Dante Lombroni.
Durante il fascismo venne distrutta a più ondate: il 10 aprile 1921 fu devastata dalle camicie nere, evento che provocò uno scontro a fuoco con un gruppo di operai socialisti e la conseguente vendetta dei fascisti che la bruciarono una settimana dopo e uccisero un operaio. La casa venne poi espropriata dal regime che sostituì le scritte socialiste e la bandiera rossa con aquile imperiali e fasci littori.
Eliminati gli ornamenti fascisti nel periodo successivo al 25 luglio 1943, divenne proprietà del PCI che decise di rifondare la casa del popolo presso Via Alessandro Marchi a Moiano (attuale locazione). Intitolata a Palmiro Togliatti, fu ricostruita a partire dal 1964, con posa della prima pietra da parte dello stesso Togliatti, ed inaugurata nel giugno del 1965 alla presenza di Luigi Longo. Il 23 Aprile 1974 l’edificio fu danneggiato gravemente da un attentato perpetrato dai fascisti, che vi fecero esplodere una bomba (vedi altre info più in basso). L’ultima ristrutturazione risale al 1998.
23 Aprile 1974: la bomba fascista alla Casa del Popolo
Erano le due e mezzo del 23 aprile 1974. Una miccia a lenta combustione fece esplodere un chilo e mezzo di tritolo collocato all’esterno di uno dei muri portanti della Casa del Popolo di Moiano. I locali interni dello stabile vennero devastati ma la struttura resse all’urto. I sotterranei assorbirono gran parte della violenza dello scoppio e il fabbricato rimase in piedi. Tutti gli edifici circostanti vennero danneggiati. Anche le grandi vetrate della Chiesa andarono in frantumi per lo spostamento d’aria provocato dalla deflagrazione. Silvio Pattume, quella notte, si era fermato davanti alla Casa del Popolo pochi istanti prima della detonazione, tornava da Piegaro insieme ad Beppino Mannucci dopo una riunione di partito, una delle tante. Uno scambio di battute, giusto il tempo di una sigaretta, e poi un rapido saluto. Ognuno tornò verso casa. Mezz’ora più tardi il boato dello schianto svegliò tutti gli abitanti della frazione. “Quella notte, nulla faceva presagire ad un attentato” ricorda Silvio Pattume. “Avevamo organizzato la vigilanza armata, le guardie notturne nei mesi precedenti e non era successo niente”. Maurizio Donati, già consigliere regionale e allora segretario di sezione del Pci moianese, racconta il senso di paura e di impotenza di quel momento: “Mia moglie, Luciana, era terrorizzata. Era incinta di mio figlio, Mauro, e non voleva che scendessi a vedere cosa era successo”. “Fra i primi ad arrivare – continua Donati – fu Capoccia Enzo che abitava anche lui nei pressi della Casa del Popolo”. Fu chiaro a tutti, sin da subito, che si trattava di un atto terroristico neofascista. Il giorno successivo all’attentato, martedì 24 aprile, la CGIL e la CISL proclamarono lo sciopero generale a Città della Pieve e in quello stesso giorno l’Unità riportava il fatto in prima pagina: “Nuovi criminali attentati” titolava il giornale del Pci. “Tritolo contro una Casa del Popolo presso Città della Pieve, diecimila in piazza a Moiano” si leggeva nell’occhiello. Toccò a Leonardo Caponi, futuro parlamentare comunista, il compito di redigere la cronaca dell’accaduto sul quotidiano di Botteghe Oscure. E spettò a lui raccontare che nella stessa notte un ordigno era stato fatto saltare anche a Lecco contro la sede della Federazione del Psi, a Milano contro una sezione del Pci e a Palmi contro la sede della locale Camera del Lavoro. “Lecco, Milano, Palmi, Moiano. Stessa bomba stessa mano” fu uno degli slogan più urlati nel corteo che seguì l’attentato. La popolazione locale accorse a migliaia alla manifestazione. Dal palco presero la parola il Presidente della regione dell’Umbria, Conti, il segretario provinciale del Psdi, Perari e il segretario della DC di Città della Pieve, Possieri. Ma parlò, soprattutto, Fosmeo Imbroglini, il Presidente della Casa del Popolo, che concluse il suo intervento promettendo: “noi siamo tignosi e la rifaremo meglio di prima!”. Quel giorno vennero raccolti con una sottoscrizione spontanea quasi trenta milioni per la ricostruzione dell’edificio simbolo dei comunisti moianesi e appena due mesi dopo, il 23 giugno 1974, si svolse la festa di inaugurazione della nuova Casa del popolo, Era certamente un’Italia molto diversa da quella attuale quella dell’aprile del 1974. Una serie inenarrabile di attentati di tutte le matrici stavano sconvolgendo il paese. Da qualche tempo avevano fatto la comparsa anche i terroristi rossi. Una settimana prima dell’attentato a Moiano era stato rapito il giudice Sossi ad opera di quelle che allora la stampa comunista definiva le “sedicenti” Brigate Rosse. Al governo della nazione c’era Mariano Rumor che dal 14 marzo guidava una coalizione di democristiani, socialisti e socialdemocratici. Agli esteri sedeva Aldo Moro, agli interni Taviani, alla difesa Andreotti. Ma il mese di aprile del 1974 era anche il mese dove la campagna referendaria sul divorzio toccava il suo apice. Da lì a poco, il 12 maggio, si sarebbe votato e il referendum sull’abrogazione della legge sul divorzio non sarebbe passato. Quando, il 23 giugno Fernando di Giulio, capogruppo del Pci alla Camera dei Deputati, venne ad inaugurare la Casa del Popolo ristrutturata si stavano svolgendo i mondiali di calcio in Germania. E sul resoconto che Leonardo Caponi scrisse per l’Unità, il giovane giornalista umbro poteva raccontare l’enorme folla radunata per l’occasione a Moiano nonostante “la giornata piovosa e la partita Italia-Polonia”. Sempre su quell’articolo venne scritto che Berlinguer non poté raggiungere Moiano, come invece era stato preannunciato, “a causa di una lieve indisposizione”. In realtà il segretario del Pci non giunse nella frazione di Città della Pieve per motivi di sicurezza. I dirigenti nazionali del Pci che erano venuti in avanscoperta i giorni precedenti dell’inaugurazione avevano giudicato troppo “a rischio di attentati” la terrazza da dove avrebbe dovuto parlare il segretario comunista. E così non se. ne fece nulla. In quell’occasione, oltre a Di Giulio parlarono anche Enrico Manca della direzione nazionale del Psi, Gian Paolo Bartolini della Federazione del Pci di Perugia, Maurizio Donati e Fosmeo Imbroglini. Sul palco erano presenti anche Alfio Marchini e Solismo Sacco. Oggi, a distanza di 50°anni i colpevoli di quell’attentato non hanno ancora un nome. Gli accusati, il gruppo di “Ordine nero” di Arezzo e Firenze vennero assolti per insufficienza di prove dopo sette anni di procedimenti giudiziari.(Articolo di Andrea Possieri)
Erano le due e mezzo del 23 aprile 1974. Una miccia a lenta combustione fece esplodere un chilo e mezzo di tritolo collocato all’esterno di uno dei muri portanti della Casa del Popolo di Moiano. I locali interni dello stabile vennero devastati ma la struttura resse all’urto. I sotterranei assorbirono gran parte della violenza dello scoppio e il fabbricato rimase in piedi. Tutti gli edifici circostanti vennero danneggiati. Anche le grandi vetrate della Chiesa andarono in frantumi per lo spostamento d’aria provocato dalla deflagrazione. Silvio Pattume, quella notte, si era fermato davanti alla Casa del Popolo pochi istanti prima della detonazione, tornava da Piegaro insieme ad Beppino Mannucci dopo una riunione di partito, una delle tante. Uno scambio di battute, giusto il tempo di una sigaretta, e poi un rapido saluto. Ognuno tornò verso casa. Mezz’ora più tardi il boato dello schianto svegliò tutti gli abitanti della frazione. “Quella notte, nulla faceva presagire ad un attentato” ricorda Silvio Pattume. “Avevamo organizzato la vigilanza armata, le guardie notturne nei mesi precedenti e non era successo niente”. Maurizio Donati, già consigliere regionale e allora segretario di sezione del Pci moianese, racconta il senso di paura e di impotenza di quel momento: “Mia moglie, Luciana, era terrorizzata. Era incinta di mio figlio, Mauro, e non voleva che scendessi a vedere cosa era successo”. “Fra i primi ad arrivare – continua Donati – fu Capoccia Enzo che abitava anche lui nei pressi della Casa del Popolo”. Fu chiaro a tutti, sin da subito, che si trattava di un atto terroristico neofascista. Il giorno successivo all’attentato, martedì 24 aprile, la CGIL e la CISL proclamarono lo sciopero generale a Città della Pieve e in quello stesso giorno l’Unità riportava il fatto in prima pagina: “Nuovi criminali attentati” titolava il giornale del Pci. “Tritolo contro una Casa del Popolo presso Città della Pieve, diecimila in piazza a Moiano” si leggeva nell’occhiello. Toccò a Leonardo Caponi, futuro parlamentare comunista, il compito di redigere la cronaca dell’accaduto sul quotidiano di Botteghe Oscure. E spettò a lui raccontare che nella stessa notte un ordigno era stato fatto saltare anche a Lecco contro la sede della Federazione del Psi, a Milano contro una sezione del Pci e a Palmi contro la sede della locale Camera del Lavoro. “Lecco, Milano, Palmi, Moiano. Stessa bomba stessa mano” fu uno degli slogan più urlati nel corteo che seguì l’attentato. La popolazione locale accorse a migliaia alla manifestazione. Dal palco presero la parola il Presidente della regione dell’Umbria, Conti, il segretario provinciale del Psdi, Perari e il segretario della DC di Città della Pieve, Possieri. Ma parlò, soprattutto, Fosmeo Imbroglini, il Presidente della Casa del Popolo, che concluse il suo intervento promettendo: “noi siamo tignosi e la rifaremo meglio di prima!”. Quel giorno vennero raccolti con una sottoscrizione spontanea quasi trenta milioni per la ricostruzione dell’edificio simbolo dei comunisti moianesi e appena due mesi dopo, il 23 giugno 1974, si svolse la festa di inaugurazione della nuova Casa del popolo, Era certamente un’Italia molto diversa da quella attuale quella dell’aprile del 1974. Una serie inenarrabile di attentati di tutte le matrici stavano sconvolgendo il paese. Da qualche tempo avevano fatto la comparsa anche i terroristi rossi. Una settimana prima dell’attentato a Moiano era stato rapito il giudice Sossi ad opera di quelle che allora la stampa comunista definiva le “sedicenti” Brigate Rosse. Al governo della nazione c’era Mariano Rumor che dal 14 marzo guidava una coalizione di democristiani, socialisti e socialdemocratici. Agli esteri sedeva Aldo Moro, agli interni Taviani, alla difesa Andreotti. Ma il mese di aprile del 1974 era anche il mese dove la campagna referendaria sul divorzio toccava il suo apice. Da lì a poco, il 12 maggio, si sarebbe votato e il referendum sull’abrogazione della legge sul divorzio non sarebbe passato. Quando, il 23 giugno Fernando di Giulio, capogruppo del Pci alla Camera dei Deputati, venne ad inaugurare la Casa del Popolo ristrutturata si stavano svolgendo i mondiali di calcio in Germania. E sul resoconto che Leonardo Caponi scrisse per l’Unità, il giovane giornalista umbro poteva raccontare l’enorme folla radunata per l’occasione a Moiano nonostante “la giornata piovosa e la partita Italia-Polonia”. Sempre su quell’articolo venne scritto che Berlinguer non poté raggiungere Moiano, come invece era stato preannunciato, “a causa di una lieve indisposizione”. In realtà il segretario del Pci non giunse nella frazione di Città della Pieve per motivi di sicurezza. I dirigenti nazionali del Pci che erano venuti in avanscoperta i giorni precedenti dell’inaugurazione avevano giudicato troppo “a rischio di attentati” la terrazza da dove avrebbe dovuto parlare il segretario comunista. E così non se. ne fece nulla. In quell’occasione, oltre a Di Giulio parlarono anche Enrico Manca della direzione nazionale del Psi, Gian Paolo Bartolini della Federazione del Pci di Perugia, Maurizio Donati e Fosmeo Imbroglini. Sul palco erano presenti anche Alfio Marchini e Solismo Sacco. Oggi, a distanza di 50°anni i colpevoli di quell’attentato non hanno ancora un nome. Gli accusati, il gruppo di “Ordine nero” di Arezzo e Firenze vennero assolti per insufficienza di prove dopo sette anni di procedimenti giudiziari.(Articolo di Andrea Possieri)